Il giorno della Memoria, ricordare per non dimenticare

Il 27 gennaio ricorre la giornata della Memoria divenuta ricorrenza internazionale che cade ogni anno come giornata in commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.

UN PO’ DI STORIA
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche della 60ª Armata del “1º Fronte ucraino” del maresciallo Ivan Konev arrivarono per prime presso la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), scoprendo il vicino campo di concentramento di Auschwitz e liberandone i superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazifascista.
Ad Auschwitz, circa 10 giorni prima, i nazisti si erano rovinosamente ritirati portando con loro, in una marcia della morte, tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa.
L’apertura dei cancelli di Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati in quel lager nazista.
Nonostante i sovietici avessero liberato circa sei mesi prima di Auschwitz, il campo di concentramento di Majdanek e «conquistato [nell’estate del 1944] anche le zone in cui si trovavano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka [precedentemente smantellati dai nazisti nel 1943]» fu stabilito che la celebrazione del giorno della Memoria coincidesse con la data in cui venne liberato Auschwitz”.
La data del 27 gennaio in ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebraico è indicata quale data ufficiale agli stati membri dell’ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.

TESTIMONIANZE
Sono tante le testimonianze relative ai campi di concentramento e ancora oggi molti libri vengono letti e riproposti nelle scuole per far capire ai ragazzi quello che è successo ma soprattutto per ricordare. Due opere che mi sono rimaste impresse nella mente sono quelle riferite a Primo Levi dal titolo ‘Se queto è un uomo’ e Anne Frank con il suo ‘Diario’.
LA STORIA DI PRIMO LEVI
Primo Levi nacque a Torino il 31 luglio 1919, figlio di Cesare Levi (1878-1942) ed Ester Luzzati (1895-1991), appartenenti a famiglie di origini ebraiche. Nel 1942 si trasferì a Milano, avendo trovato un impiego migliore presso una fabbrica svizzera di medicinali. Qui Levi, assieme ad alcuni amici, venne in contatto con ambienti antifascisti militanti ed entrò nel Partito d’Azione clandestino. Dopo l’8 settembre 1943 si rifugiò in montagna, unendosi a un nucleo partigiano operante in Valle d’Aosta. Il 22 febbraio 1944, Levi e altri 650 ebrei, donne e uomini, vennero stipati su un treno merci (oltre 50 persone in ogni vagone) e destinati al campo di concentramento di Auschwitz in Polonia. Levi fu qui registrato (con il numero 174.517) e subito condotto al campo di Buna-Monowitz, allora conosciuto come Auschwitz III, dove rimase fino alla liberazione da parte dell’Armata Rossa, avvenuta il 27 gennaio 1945. Fu uno dei venti sopravvissuti dei 650 ebrei italiani arrivati con lui al campo. Levi attribuì la propria sopravvivenza a una serie di incontri e coincidenze fortunate. Innanzitutto, leggendo pubblicazioni scientifiche durante i suoi studi, aveva appreso un tedesco elementare.
L’OPERA: SE QUESTO E’ UN UOMO
Il testo venne scritto non per muovere accuse ai colpevoli, ma come testimonianza di un avvenimento storico e tragico. Lo stesso Levi diceva testualmente che il libro era «nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi» ed è scritto per soddisfare questo bisogno. L’opera, durante la sua genesi, fu comunque oggetto di rielaborazione. Al primo impulso da parte di Levi, quello di testimoniare l’accaduto, seguì un secondo, mirato ad elaborare l’esperienza vissuta, il che avvenne grazie ai tentativi di spiegare in qualche modo l’incredibile verità dei lager nazisti.
Sono questi alcuni dei versi introduttivi dell’opera, ispirati all’antica preghiera dello Shemà, che ne spiegano appunto il titolo definitivo.

«Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.»

Il successo e la notorietà del libro si fecero attendere fino al 1958, anno in cui l’opera venne pubblicata finalmente proprio dalla casa dello Struzzo nella collana Saggi con un risvolto di copertina anonimo, scritto da Italo Calvino. Nel 1964 Primo Levi ne produsse una riduzione radiofonica che venne trasmessa il 25 aprile dello stesso anno alla quale avrebbe fatto seguito nel 1966 la riduzione teatrale di Pieralberto Marchesini.

LA STORIA DI ANNE FRANK
Anna nacque il 12 giugno 1929, come seconda figlia di Otto Heinrich Frank (12 maggio 1889 – 19 agosto 1980) e di sua moglie Edith Frank, nata Holländer (16 gennaio 1900 – 6 gennaio 1945), nella clinica dell’Associazione delle donne patriottiche nel parco Eschenheim, a Francoforte: questa clinica venne distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Aveva una sorella maggiore, Margot Betti Frank (16 febbraio 1926 – febbraio 1945).
Il 12 giugno 1942, Anna ricevette per il suo tredicesimo compleanno un quadernino a quadretti bianco e rosso, sul quale incomincerà a scrivere (in olandese) il Diario, inizialmente sotto forma di annotazioni a proposito della scuola e degli amici, quindi come immaginaria corrispondenza con le protagoniste di una popolare serie di romanzi per ragazze “Joop ter Heul” della scrittrice olandese Cissy van Marxveldt, di cui lei e le amiche erano accanite lettrici.
Il viaggio in treno dura tre giorni, che Anne e più di mille altre persone trascorrono stipati in vagoni per il trasporto di bestiame. Cibo e acqua scarseggiano, come wc c’è soltanto un barile. All’arrivo ad Auschwitz i medici nazisti selezionano chi può eseguire il pesante lavoro forzato e chi no. Circa 350 persone dal convoglio di Anne vengono uccise nelle camere a gas subito dopo il loro arrivo. Anne, insieme alla sorella e alla madre, giunge nel campo di lavoro femminile, Otto in un campo maschile. All’inizio del novembre 1944 Anne è nuovamente deportata. Lei e la sorella vengono trasferite nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. I suoi genitori rimangono ad Auschwitz. Anche a Bergen-Belsen le condizioni sono terribili: non c’è quasi niente da mangiare, fa freddo e Anne, come la sorella, contrae il tifo esantematico. Muoiono entrambe nel febbraio del 1945 a causa di questa malattia, prima Margot, poco dopo Anne.
L’OPERA: IL DIARIO DI ANNE FRANK
Anna iniziò a scrivere il Diario il 12 giugno 1942. Il manoscritto a noi pervenuto della prima stesura consiste di tre quaderni, relativi ai seguenti rispettivi periodi: dal 12 giugno al 5 dicembre 1942; dal 22 dicembre 1943 al 17 aprile 1944; dal 17 aprile al 1º agosto 1944. La medesima prima stesura comprendeva originariamente uno o più quaderni, andati perduti, corrispondenti al periodo compreso fra il 6 dicembre 1942 e il 21 dicembre 1943. Nell’edizione critica, pubblicata nel 1986, questa prima stesura è indicata come “versione A”.
Al principio del 1946 il dattiloscritto venne poi ritrascritto dalla moglie di Albert, Isa Cauvern. Il testo dattiloscritto da Isa Cauvern è quello che fu consegnato, sempre nel 1946, alla casa editrice olandese Contact. Questa casa editrice apportò a tale testo ulteriori modifiche, censurando venticinque passaggi (sopprimendo ad esempio la parola mestruazioni) e ampliandone leggermente altri a scopi didascalici. Dopo che Otto Frank ebbe approvato il testo così modificato, esso fu finalmente pubblicato dalla Contact nel giugno 1947.
A questa prima pubblicazione olandese seguirono varie traduzioni: nel 1950 in francese, nel 1952 in inglese, nel 1954 in italiano, nel 1955 in tedesco. Quest’ultima versione fu approntata da un’amica di famiglia dei Frank, la signora Anneliese Schütz, che era stata insegnante di tedesco di Margot Frank, sorella di Anna.
Sulla base del lavoro effettuato per l’edizione critica (la quale, presentando in parallelo le diverse redazioni dei Diari, risulta di difficile lettura per i non specialisti), la Fondazione Anna Frank di Basilea diede incarico alla scrittrice e traduttrice tedesca Mirjam Pressler di predisporre una nuova edizione della versione C, destinata al grande pubblico e integrata con numerosi passi recuperati dalle versioni A e B. Pubblicata in olandese nel 1991, l’edizione curata dalla Pressler venne tradotta in italiano nel 1993; le edizioni successive al 1998 contengono le pagine ritrovate in quell’anno. Il testo curato da Mirjam Pressler viene talora indicato come “versione D”.